Carta di identità elettronica – Inserimento dell’espressione “genitore” in luogo di “madre/padre” – Disapplicazione del d.m. 31 gennaio 2019 – Ammissibilità.
Esaminando un’impugnazione proposta dal Ministero dell’Interno, la Sezione Prima civile - dopo aver osservato che l'adozione in casi particolari, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983, si presta a realizzare in modo pieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Cost. n. 79/2022 e della più recente giurisprudenza di legittimità – ha confermato la decisione di merito che, nel disapplicare il d.m. 31 gennaio 2019 (di modifica del d.m. 23 dicembre 2015, recante modalità tecniche di emissione della carta d’identità elettronica), ha ordinato il rilascio ad una minore del documento elettronico d’identità contenente l’espressione “genitore” in luogo di “madre/padre”. (Nel caso che ha dato origine alla controversia, la richiesta del documento elettronico d’identità della minore era avvenuta a seguito di sentenza che riconosceva alla partner della madre naturale la condizione di madre adottiva).
Le Sezioni Unite civili – pronunciando sulle questioni rimesse dalle stesse Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria n. 20103 del 22 luglio 2024 e, in precedenza, dalla Sezione Terza civile con l’ordinanza interlocutoria n. 5614 del 1° marzo 2024 – hanno affermato il seguente principio:
Conformemente a quanto statuito dalla CGUE, sentenza del 7/11/2019, C-213/18, la giurisdizione sulla domanda del passeggero di compensazione per la cancellazione o il ritardo del volo aereo in forza del Regolamento CE n. 261/2004 va determinata in base ai criteri del Regolamento UE n. 1215 del 2012 (c.d. “Bruxelles I bis”) e, dunque, spetta al giudice del domicilio del convenuto o al giudice dei fori alternativi dei luoghi di partenza o di arrivo dell’aereo, come indicati nel biglietto di trasporto, senza che assumano rilievo le disposizioni in tema di contratti conclusi dai consumatori, inapplicabili ex art. 17, par. 3, del citato Regolamento (CGUE, sentenza 11/4/2019, C-464/18); invece, in relazione alla domanda di risarcimento dei danni supplementari, si devono impiegare i criteri dell’art. 33 della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 (applicabile soltanto ai trasporti aerei internazionali e, dunque, non ai voli interni), che riguardano non solo la competenza giurisdizionale, ma anche la ripartizione territoriale tra le autorità di ciascuno Stato.
(orientamenti conformi giurisprudenziali Cass. Civ. 29/4/24 n. 11394 - 3/2/22 n. 3426)
Il Tribunale di Ravenna, decidendo il giudizio di separazione tra i coniugi, ha rigettato la domanda di addebito, operando un’attenta analisi eziologica fondata, da un lato, sulla natura “fredda” dell’unione originariamente instaurata tra le parti e, dall’altro, sulla preesistenza della crisi rispetto al tradimento contestato dal marito alla moglie.
Analisi del caso
La decisione in commento è intervenuta all’esito del giudizio di separazione nell’ambito del quale il marito A. ha chiesto l’addebito della separazione stessa nei confronti della moglie B. Nel medesimo giudizio, le parti – concordi sull’intollerabilità della prosecuzione della convivenza – hanno inoltre richiesto al Tribunale differenti statuizioni accessorie, sulle quali il Collegio ha assunto l’interrogatorio formale del ricorrente e prove testimoniali.
Con particolare riferimento alla domanda di addebito, A. ha dedotto che B., verso la metà dell'anno 2017, andò a vivere con C., con il quale aveva instaurato una relazione extraconiugale che fu causa della rottura del matrimonio. Al contrario, B. ha eccepito che l’unione spirituale col marito era in realtà terminata ben prima dell’anno 2017; che in realtà la scelta di sposarsi fu fatta dai coniugi sostanzialmente per dare un padre alla bambina che avevano concepito, non perché esistesse un solido rapporto fra loro; che, successivamente, i problemi economici (era fallita la ditta per cui lavorava il marito) incrinarono ancora di più il legame fra le parti; che, pertanto, da tempo antecedente al 2017 l’unità materiale e spirituale tra i coniugi si era interrotta, tanto da rendere impossibile la convivenza tra gli stessi.
Circa le ulteriori questioni, l’A. ha chiesto l’assegnazione della casa familiare, nella quale continuava a convivere con la figlia C., maggiorenne non economicamente autosufficiente, nonché la determinazione del contributo al mantenimento da imporre sulla madre B. Quest’ultima, dichiarandosi disoccupata, non solo ha resistito a tale richiesta, ma ha altresì domandato un assegno di mantenimento da imporre sul marito.
La soluzione
Nel respingere la domanda di addebito, il Tribunale ha in particolare evidenziato che, ove il richiedente l’addebito non contestati specificamente le allegazioni della controparte circa la carenza originaria di un solido rapporto tra le parti e la preesistenza della crisi rispetto alla violazione del dovere di fedeltà coniugale, detta violazione deve reputarsi conseguenza e non causa della crisi, con correlato rigetto della domanda di addebito.
La motivazione del Tribunale
Circa la domanda di addebito, il Tribunale ha premesso che, secondo il diritto vivente, grava sulla parte che richieda l’addebito l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza (cfr. Cass. civ., 5 agosto 2020, n. 16691).
Circa la dedotta violazione del dovere di fedeltà coniugale, in particolare, grava sulla parte che richieda, per tale ragione, l’addebito della separazione all'altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (cfr., da ultimo, Cass. civ., 29 aprile 2024, n. 11394). Analogo meccanismo opera in relazione all’abbandono del domicilio familiare, quale violazione del dovere di convivenza (Cass. civ., 3 febbraio 2022, n. 3426).
Nel caso di specie, il Collegio ha osservato che il ricorrente A. non aveva contestato specificamente le allegazioni della resistente circa l’eziologia della scelta di sposarsi, circa l’inesistenza di un solido rapporto tra le parti, nonché circa le ripercussioni dei problemi economici che A. dovette affrontare sul legame tra le parti. Ciò ha portato i giudici a inferire (art. 2729 c.c.) da tali fatti pacifici (art. 115 c.p.c.) che la decisione di B. di andare a vivere con C., con cui aveva instaurato una relazione extraconiugale, verso la metà dell’anno 2017, dipese da una condizione di grave disaffezione e distacco tra i coniugi, tale da rendere intollerabile la convivenza tra gli stessi.
Tale quadro è risultato poi ulteriormente corroborato dalla decisione di A. di attendere ben cinque anni, dopo l’abbandono della casa coniugale da parte di B., prima di chiedere l’addebito della separazione. Conseguentemente, la domanda di addebito della separazione alla moglie è stata rigettata perché ritenuta infondata.
Sulle ulteriori domande, il Tribunale ha assegnato la casa familiare al marito A. (proprietario della stessa), perché continuasse a convivervi con C., maggiorenne ma non economicamente autosufficiente. Inoltre, richiamati i presupposti per il riconoscimento e i criteri per la quantificazione del contributo indiretto al mantenimento del figlio ex art. 337-ter, co. 4, c.c. (su cui v. Cass., 13 dicembre 2016, n. 25531, nonché, in riferimento al figlio maggiorenne, la recente Cass., 10 febbraio 2025, n. 3329), gravante anche sul genitore privo di lavoro ma dotato di capacità lavorativa generica (v. Trib. Roma, 7 luglio 2017; Cass., 27 dicembre 2011, n. 28870), ha imposto alla moglie B. il versamento di un assegno di euro 230,00 mensili per il contributo al mantenimento di C., oltre alla compartecipazione paritetica nelle spese straordinarie.
Infatti, da un lato, C. è risultata maggiorenne ma non economicamente autosufficiente e, dall’altro, nonostante B. si fosse professata disoccupata, nel corso dell’istruttoria erano emersi elementi indiziari tali da far propendere per l’esercizio, da parte della stessa, dell’attività professionale di estetista, come confermato dai testimoni assunti e dal fatto che la stessa, abbandonando il tetto coniugale, aveva portato con sé l’attrezzatura utilizzata dalla medesima per lo svolgimento di tale professione. Elementi utili, in ogni caso, a reputare comprovata la sussistenza di una capacità lavorativa generica.
In virtù dei medesimi accertamenti, infine, il Tribunale ha respinto la domanda di mantenimento formulata dalla B. nei confronti dell’A. Infatti, sebbene sussista in astratto il diritto del coniuge economicamente debole e privo di adeguati redditi propri di richiedere il riconoscimento di un assegno volto alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (cfr. Cass. civ., 16 maggio 2017, n. 12196), da valutarsi anche alla luce della attitudine al lavoro proficuo del coniuge richiedente (Cass. civ., 6 settembre 2021, n. 24049), grava sul richiedente l’assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l’onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un’occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali (Cass. civ., 21 luglio 2021, n. 20866).
Nel caso di specie, B. non ha assolto tale onere, limitandosi a dichiararsi disoccupata e mantenendo un atteggiamento opaco circa la ricostruzione dei propri redditi, pur essendo emersi, dall’istruttoria, elementi presuntivi della persistenza di una sua attività e capacità lavorativa.